Approvazione dello ius scholae, una legge che riconosca la cittadinanza italiana per:
• Chi è nato in Italia o vi è entrato prima dei 12 anni e ha studiato almeno 5 anni nel nostro Paese
• Chi è entrato in Italia prima dei 18 anni, risiedendo legalmente per 6 anni e abbia concluso un ciclo di studi.
Sono passati 30 anni da quando il Parlamento è intervenuto sul sistema di regole che definisce le modalità di ottenimento della cittadinanza italiana.
Era il febbraio 1992 e già allora la legge era considerata obsoleta. Perché era più con centrata sull’emigrazione italiana all’estero che sulle migrazioni verso l’Italia e consi derava il nostro Paese solo un territorio di passaggio e costruiva quindi un percorso lungo, rigido ed escludente per l’acquisizione della cittadinanza. Una lettura miope e presto smentita dai fatti.
In Italia oggi sono oltre 800.000 i ragazzi e le ragazze che, pur avendo frequentato i cicli di istruzione previsti dal sistema scolastico e pur vivendo in Italia da anni, lavorando qui, parlando i nostri dialetti, non vedono legalmente riconosciuto il loro essere italiani nei fatti. Centinaia di migliaia di persone che sono considerate semplicemente “abitanti” e per questo private di diritti fondamentali, come la libera circolazione nell’Unione europea per motivi di lavoro e di studio, il diritto di elettorato attivo e passivo o la possibilità di partecipare ad alcuni concorsi pubblici.
Una discriminazione ingiustificata che rende più debole la nostra intera comunità nazionale, perché sfilaccia i legami di solidarietà e fiducia che invece dovrebbero reggerla.
Il Partito Democratico vuole rispondere alla richiesta che i giovani italiani senza cittadinanza hanno portato all’attenzione del Presidente della Repubblica già cinque anni fa. A loro diciamo: non vi lasciamo soli.
Nell’ultima legislatura abbiamo lavorato con determinazione per far approvare una nuova Legge sulla cittadinanza, riuscendo a portare in Aula alla Camera un testo. Ma prima l’ostruzionismo di FdI e Lega hanno ostacolato il percorso e poi la fine della Legislatura l’ha purtroppo definitivamente bloccato.
Nel nostro modello di società diritti e doveri vanno di pari passo e valori e responsabilità si sorreggono a vicenda. Per questa ragione, vogliamo restituire dignità e rappresentanza ad un pezzo di società che, nei fatti, è già parte attiva della nostra comunità, affinché sia garantita la partecipazione piena a tutti i processi, da quelli sociali a quelli economici.
È arrivato il momento di superare le ingiustificate discriminazioni che ancora oggi vediamo nelle classi italiane. A settembre, bambine e bambini torneranno nelle scuole. Studieranno insieme, mangeranno insieme, giocheranno insieme. Compagne e compagni di classe, che però per la legge non sono uguali. Neanche se parlano la stessa lingua, ascoltano la stessa musica e hanno gli stessi sogni. Perché ancora oggi i figli dei genitori stranieri incontrano barriere ingiustificate nell’accesso alla cittadinanza, anche quando sono nati in Italia, sono cresciuti in Italia e hanno studiato in Italia. È il momento di introdurre una norma che non è solo civiltà, è prima di tutto buon senso: chi studia in Italia è italiano.